Euribor
Euribor
La recentissima ordinanza della Corte di Cassazione n. 34889 del 13.12.2023 non lascia adito a dubbi: La decisione della Commissione Antitrust Europea del 4/12/2013 costituisce prova privilegiata e l’intesa vietata a monte integra violazione della l. 287/90 con conseguente nullità del tasso
Con l’ordinanza in epigrafe la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla questione relativa all’Euribor in periodo di manipolazione e relative conseguenze sul tasso di interesse applicato perché in violazione, oltre che del diritto europeo ex artt. 101 e 102 TFUE, anche della legge Antitrust nazionale, ai sensi dell’art. 2 l. 287/1990.
Prima di commentare quanto affermato dalla Suprema Corte, risulta utile ripercorrere la vicenda alla base.
Era accaduto che alcuni Istituti di credito Europei, nel periodo intercorrente tra il settembre 2005 e il maggio 2008, avessero volontariamente ed illegittimamente maggiorato il tasso EURIBOR di riferimento.
Ma perché è potuto accadere questo?
La risposta è molto semplice.
“È bene premettere che l’Euribor costituisce un parametro di riferimento inteso a riflettere il costo dei prestiti interbancari in Euro ed è determinato sulla base delle quotazioni individuali di un gruppo di banche selezionate dall’European Banking Federation (EBF), a cui viene chiesto di supporre il tasso d’interesse che una banca primaria (primary bank) offrirebbe ad una seconda banca primaria per depositi interbancari a termine entro la zona Euro (in altri termini, l’Euribor indica il rendimento di un impiego non garantito in Euro a breve termine a un soggetto solvibile). Si osserva in dottrina che tale meccanismo di determinazione presenta profili di vulnerabilità in quanto, da un lato, la quotazione dell’indice eseguita dalle banche non riflette un dato reale ed effettivo di mercato, ma consiste invece in una stima teorica effettuata dalle banche stesse; dall’altro lato, la quotazione è determinata secondo un procedimento meramente interno dell’impresa, non facilmente contestabile da un osservatore terzo, quale l’autorità di vigilanza” (Cfr. Trib. Ancona, sent. non definitiva, n. 1056/2020, Giudice Dott. Rosario Vizzari).
Ogni giorno una serie di grandi banche europee riferiscono all’agenzia Thomson Reuters i tassi cui si siano prestate reciprocamente il denaro.
Se gli istituti si comportano correttamente tutto funziona bene. Tuttavia, se gli stessi iniziano a fare un cartello decidendo che da quel momento l’Euribor, cui sono indicizzati la maggior parte dei mutui a tasso variabile od anche i tassi leasing, ed altre operazioni, inizierà ad aumentare, le cose cambiano.
Di concerto i funzionari di alcuni di questi istituti si sono scambiati preferenze per una certa quotazione oppure informazioni precise sulle quotazioni future in modo da allineare la propria posizione sul mercato, costituendo così un cartello.
La Commissione Europea ha accertato tale violazione della libera concorrenza e del mercato diretta ad ottenere guadagni indebiti dall’alterazione forzata del parametro Euribor cui moltissime operazioni finanziarie sono indicizzate.
Il risultato, per i clienti a valle, è stato quello di vedere improvvisamente e vertiginosamente aumentare il costo complessivo del proprio finanziamento.
Prendiamo ad esempio un mutuo a tasso variabile indicizzato all’Euribor.
Il tasso è costituito da una componente fissa maggiorata della quotazione Euribor (a tre mesi, sei mesi, …).
È chiaro che se la componente variabile, ossia quella della quotazione Euribor, aumenta, allora, aumenta anche il tasso applicato alla singola operazione e quindi, la rata del mutuo. Se aumenta la quota interessi aumenta anche la rata. La rata non aumenta solo nell’ipotesi in cui si sia stabilito che il mutuo, viene ammortizzato a rata costante. In quel caso se all’operazione è applicato un tasso variabile, e il tasso aumenta, corrisponde un aumento del tasso di interesse nella componente interessi della rata e, una diminuzione della quota capitale ammortata, con conseguente prolungamento del tempo necessario per chiudere il finanziamento.
In ipotesi di tasso variabile se questo aumenta il finanziamento diventa necessariamente più oneroso, o perché aumenta direttamente la rata o perché si prolunga il tempo di ammortamento e quindi gli interessi corrisposti perché serve più tempo per abbattere il capitale ottenuto a mutuo.
È quindi sui soggetti a valle che ricadono le conseguenze della violazione della concorrenza operata a monte.
La decisione della Commissione Europea ha proprio accertato l’illecito compiuto da tali istituti e la conseguente violazione degli artt. 101 e 102 TFUE.
Tale decisione, anche in ossequio al principio di applicazione uniforme del diritto comunitario avrebbe dovuto essere recepito sic et simpliciter dalle giurisdizioni nazionali.
Così, non è stato.
Molti Tribunali di merito avanti cui è stata promossa l’eccezione di nullità del tasso da contratto per violazione del parametro Euribor nel periodo intercorrente tra il 2005 e il 2008, (sì come accertato dalla Decisione della Commissione) non l’hanno accolta. Per molto tempo hanno statuito sulla mancata prova dell’intesa vietata a monte e, comunque, sulla mancata dimostrazione della partecipazione all’intesa del singolo istituto coinvolto nella vertenza.
Tali motivazioni sono errate e questo perché è il tasso ex sé ad essere nullo. I singoli istituti, pur non avendo preso parte al cartello, hanno comunque beneficiato dell’aumento del tasso, determinato dall’aumento del parametro variabile.
Tale principio è quello che è stato preso a riferimento nell’ordinanza n. 34889/2023 della Suprema Corte in commento.
La Cassazione ha precisato che le legge Antistrust, ove dispone la nullità delle intese fra le imprese che siano dirette a restringere o falsare il gioco della concorrenza “all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, non ha inteso riferirsi solo alle “intese” in quanto contratti in senso tecnico ovvero negozi giuridici consistenti in manifestazioni di volontà tendenti a realizzare una funzione specifica attraverso un particolare “voluto”. Il legislatore – infatti – con la suddetta disposizione normativa ha inteso – in realtà ed in senso più ampio – proibire il fatto della distorsione della concorrenza, in quanto si renda conseguenza di un perseguito obiettivo di coordinare, verso un comune interesse, le attività economiche; il che può essere frutto anche di comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali”. Si rendono – così – rilevanti qualsiasi condotta di mercato (anche realizzantesi in forme che escludono una caratterizzazione negoziale) purché con la consapevole partecipazione di almeno due imprese, nonché anche le fattispecie in cui il meccanismo di “intesa” rappresenti il risultato del ricorso a schemi giuridici meramente “unilaterali”. Da ciò consegue che, allorché l’articolo in questione stabilisce la nullità delle “intese non abbia inteso dar rilevanza esclusivamente all’eventuale negozio giuridico originario postosi all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma a tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario – quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza”; pertanto, qualsiasi forma di distorsione della competizione di mercato, in qualunque forma essa venga posta in essere, costituisce comportamento rilevante ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 2 della legge antitrust;”.
I Giudici di Piazza Cavour hanno chiarito che l’ambito di operatività della l. 287/1990 non si limita a condotte negoziali di tipo partecipativo ma si realizza anche in quelle condotte unilaterali che portino al risultato di ostacolare la libera concorrenza.
In tale solco la Corte ha anche affermato che la decisione della Commissione Antitrust Europea del 4/12/2023, con cui quest’ultima ha accertato la violazione dell’art. 101 TFUE (allora art. 101 Trattato CE), “avrebbe dovuto considerarsi prova privilegiata (..) a supporto della domanda volta alla declaratoria di nullità dei tassi “manipolati” ed alla rideterminazione degli interessi nel periodo coinvolto dalla manipolazione, a prescindere dal fatto che all’intesa illecita avesse o meno partecipato …, giacché raggiunta dal divieto di cui all’art. 2 della l. 287/1990 è qualunque contratto o negozio a valle che costituisca applicazione delle intese illecite concluse a monte”.
La Suprema Corte non lascia adito a dubbi interpretativi:
- La decisione della Commissione costituisce prova privilegiata dell’accertata violazione del parametro Euribor nel periodo compreso tra il 2005 e il 2008;
- Non rileva la circostanza che l’istituto di credito con cui si è contratto, ad esempio il mutuo, abbia o meno partecipato all’intesa vietata, proprio perché è il tasso – frutto dell’intesa illecita a monte – ad essere nullo;
- L’art. 2 l. 287/1990 prevede la nullità di ogni contratto o negozio a valle che sia applicazione delle intese vietate a monte.
Ad onor di cronaca, va rilevato che già alcuni Tribunali di merito erano giunti alla medesima conclusione, come il già richiamato Tribunale di Ancora, od ancora la Corte di Appello di Cagliari, sez. distaccata di Sassari (Cfr. sent. n. 38 del 07.02.2023; Cfr. sent. n. 260/2022 e n. 262/2022).
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